IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 187-78/1992 proposto dal Crupi Paolo, elettivamente domiciliato in Palermo, piazza Amendola n. 43, presso lo studio dell'avv. T. Raimondo, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Lupo per mandato a margine del ricorso; Contro la Soprintendenza ai Beni culturali ed ambientali di Palermo, in persona del soprintendente pro-tempore rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria; ed il comune di Isnello, in persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Palermo, via Sammartino n. 55, presso lo studio dell'avv. Salvatore Sangiorgi Paratore, che lo rappresenta e difende per mandato a margine della memoria di costituzione; per l'annullamento del parere parzialmente negativo espresso dalla Soprintendenza ai Beni culturali ed ambientali di Palermo in ordine alla istanza di sanatoria di un edificio in territorio del comune di Isnello; dell'ingiunzione di demolizione n. 31/91 del 22 novembre 1991 del sindaco di Isnello; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'avvocatura dello Stato per l'Amministrazione regionale intimata e dell'avv. S. Sangiorgi Paratore per l'Amministrazione comunale; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Designato relatore alla pubblica udienza del 26 giugno 1998 il consigliere Cosimo Di Paola; Uditi l'avv. F. Lupo per il ricorrente, l'avvocato dello Stato Nicola Maisano per l'Amministrazione regionale e l'avv. A. Sangiorgi, in sostituzione dell'avv. S. Sangiorgi Paratore per l'Amministrazione comunale intimata; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso notificato l'11-13 gennaio 1992, e depositato il successivo 16 gennaio, il ricorrente esponeva di essere proprietario di un edificio nel comune di Isnello, realizzato in assenza della concessione edile in epoca anteriore alla pubblicazione del decreto assessoriale di imposizione del vincolo paesaggistico sull'area, e di aver proposto per lo stesso istanza di condono edilizio; impugnava il parere parzialmente negativo reso dalla Soprintendenza di Palermo e l'ordinanza di demolizione adottata in conseguenza dal sindaco del comune di Isnello. Deduceva le seguenti censure: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 26 l.r. n. 37/1985; eccesso di potere per irrazionalita' manifesta. La circostanza della sopravvenienza del vincolo rispetto all'epoca di realizzazione dell'opera abusiva ne consentirebbe la sanatoria, indipendentemente dal vincolo stesso; 2) eccesso di potere per travisamento del fatto, illogicita' e contraddittorieta'. La Soprintendenza non poteva negare il parere favorevole in relazione alla situazione della zona, ove sorgono numerosi altri edifici di ben maggiore volumetria rispetto a quello del ricorrente. 3) illegittimita' derivata. Dalla illegittimita' del parere negativo della Soprintendenza discende quella dell'ordinanza sindacale. 4) violazione e falsa applicazione dell'art. 35, legge n. 47/1985 (nel testo di cui all'art. 26, l.r. n. 37/1985) in combinato disposto con gli artt. 38 e 44 della stessa legge. L'Amministrazione comunale non poteva comunque adottare alcun provvedimento sanzionatorio senza aver prima esitato la istanza di condono. Resisteva l'Amministrazione regionale la quale esponeva che sin dal 1985 il ricorrente era stato destinatario di provvedimenti di sospensione dei lavori da parte del comune e della stessa Soprintendenza e deduce comunque la rilevanza del vincolo paesaggistico, se pure imposto successivamente alla data di realizzazione delle opere, e comunque la correttezza del parere reso sull'istanza di condono. Si costituiva altresi' il comune di Isnello deducendo l'infondatezza del gravame. Alla camera di consiglio del 27 febbraio 1992 l'istanza di sospensione del provvedimento impugnato veniva accolta. Con decisione interlocutoria n. 426/93 del 5 maggio 1993 veniva disposta l'acquisizione di atti ritenuti necessari ai fini del decidere. Con memoria depositata il 14 febbraio 1998 il procuratore del ricorrente eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, della l.r. 31 maggio 1994, n. 17 - di interpretazione autentica dell'art. 23, comma 10, della l.r. 10 agosto 1985, n. 37 - per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in riferimento agli artt. 9, comma 2, 42, 116 e 117 della Costituzione. Alla pubblica udienza del 26 giugno 1998 i procuratori delle parti chiedevano porsi il ricorso in decisione, insistendo nelle rispettive conclusioni. D i r i t t o 1. - Col primo motivo di censura si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 26 della l.r. 10 agosto 1985, n. 37 ed eccesso di potere per irrazionalita' manifesta. Si sostiene che sarebbe suscettibile di sanatoria l'immobile del ricorrente, poiche' all'epoca in cui fu realizzato non era stato ancora imposto il vincolo paesaggistico nella zona in cui esso insiste. Deve osservarsi, al riguardo, che il comma 10 del citato art. 23 dispone "Per le costruzioni che ricadono in zone vincolate da leggi statali e regionali per la tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici ..., le concessioni in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il vincolo posto antecedentemento all'esecuzione delle opere, non comporti inedificabilita' e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima". Nelle more del giudizio e' intervenuta la l.r. 31 maggio 1994, n. 17, che all'art. 5, comma 3, ha dettato l'interpretazione autentica della surriferita norma, stabilendo che "Il nulla-osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fin della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva". Tale nuova disposizione toglie ogni pregio giuridico alla censura in esame, dal momento che diviene irrilevante, ai fini della sanatoria edilizia, l'addotta circostanza (sufficientemente provata in atti) circa l'avvenuta esecuzione del fabbricato abusivo prima dell'apposizione del vincolo paesaggistico in questione (il vincolo e' stato apposto con D.A. 17 maggio 1989, pubblicato nella G.U.R.S. n. 42 del 2 settembre 1989, l'immobile abusivo risultava eseguito alla data del 3 maggio 1985 - v. verb. polizia municipale in atti). Consapevole di cio', il difensore del ricorrente ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della sopravvenuta norma, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in riferimento agli artt. 9, comma 2, 42, 116 e 117 della Costituzione. La questione e' rilevante e non manifestamente infondata, non pero' sotto i citati profili, bensi' - come avanti si vedra' - con riferimento al parametro costituzionale rilevato d'ufficio dal collegio. 2. - La rilevanza della questione discende dal fatto che i restanti motivi di censura dedotti sono infondati. 2.1. - Col secondo di essi, invero, viene denunciato eccesso di potere per travisamento del fatto, per violazione dei precetti di logica e per contraddittorieta'. Il fabbricato del Crupi, diversamente da quanto afferma la Soprintendenza, non arrecherebbe disturbo alla veduta del paesaggio naturale, in quanto ubicato alla periferia del paese e sovrastato da "un enorme edificio scolastico...". La Soprintendenza, viceversa, ha formulato un giudizio estetico negativo del fabbricato (costituito da ben cinque piani n.d.e.) nei seguenti inequivoci termini "la composizione della vallata viene brutalmente offesa dal fabbricato in oggetto ... realizzato senza tenere conto delle tipologie costruttive dei dintorni, apparendo completamente estraneo alle locali tradizioni". Orbene, tale valutazione "costituisce tipica espressione di discrezionalita' tecnica che, secondo pacifica giurisprudenza, non e' sindacabile in sede di giudizio di legittimita', se non sotto il profilo della manifesta arbitrarieta'. Il che non risulta affatto dimostrato nel caso in esame. 2.2. - Il terzo motivo di gravame va senz'altro disatteso. Siccome non sussiste - come si e' appena visto - la lamentata illegittimita' del parere negativo della Soprintendenza, non puo' inferirsene l'illegittimita' derivata dell'impugnato ordine di demolizione. 2.3. - Il quarto motivo, infine, con cui si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 35, 38 e 44 della legge n. 47/1985, e' anch'esso infondato. Il ricorrente invoca l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui qualora sia pendente domanda di sanatoria edilizia, il sindaco ha l'obbligo di una specifica pronuncia su di essa, senza che possa frattanto adottare alcun provvedimento sanzionatorio a carico del commesso abuso edilizio (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V Sez., 7 novembre 1990, n. 770, V Sez., 26 giugno 1992, n. 581, e Csi. 28 febbraio 1995, n. 58). Siffatta giurisprudenza, tuttavia, non puo' essere invocata nel caso in esame. L'impugnata ordinanza di demolizione, invero, non attiene ad una autonoma determinazione del sindaco - che in tal caso sarebbe risultata adottata in spregio al dovere di previamente decidere sulla richiesta di sanatoria - bensi' si configura come un provvedimento dovuto, conseguenziale al parere negativo ed alla parziale demolizione del fabbricato, disposti dalla Soprintendenza. Il che, peraltro, chiaramente si evince dalle premesse dell'ordinanza medesima. Si consideri, d'altra parte, che la disposizione dell'art. 44, legge n. 47/85, secondo cui in attesa della definizione delle domande di condono per gli abusi edilizi consumati sono sospesi i relativi provvedimenti amministrativi sanzionatori, non si riferisce ai procedimenti concernenti gli illeciti paesistici ed alla irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni, in quanto tali illeciti non sono presi in considerazione dalla citata legge n. 47/1985 per disporre la sanatoria, ma solo per configurarli come cause ostative della sanatoria del diverso illecito edilizio (Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 1990, n. 551). Ed ancora, si tenga conto del fatto che rientra nei poteri dell'Amministrazione competente, oltre che del giudice adito, verificare l'astratta riconducibilita' dell'opera oggetto della domanda di condono tra quelle suscettibili di sanatoria, escludendosi ogni conseguente automaticita' dell'effetto sospensivo previsto dall'art. 44 sopra citato, in relazione ad opere edilizie certamente non sanabili (Cons. Stato Seze V, 4 ottobre 1994, n. 1100). Dal che discende, quale ulteriore corollario, che il sindaco non e' tenuto a pronunciarsi sulla domanda di condono qualora, come nella specie, risulti evidente la non sanabilita' delle opere, stante il parere negativo espresso al riguardo dalla Soprintendenza. I motivi di gravame dedotti sono dunque tutti infondati, sicche' dall'esito del giudizio della Corte costituzionale - sulla questione di illegittimita' costituzionale (come appresso individuata dal collegio) - consegue l'accoglimento o la reiezione del ricorso. Donde la rilevanza della questione medesima. 3. - Circa la non manifesta infondatezza della questione si rileva quanto segue. 3.1. - Il ricorrente denuncia l'illegittimita' costituzionale della norma in questione per contrasto: con l'art. 3 della Costituzione in riferimento all'art. 9, comma 2, e all'art. 42 della Costituzione, in quanto essa darebbe luogo ad una "irragionevole equiparazione di situazioni non omogenee": sarebbero trattati allo stesso modo, il proprietario che edifica in violazione dell'art. 7, legge n. 1497/1939, quando cioe' gia' esiste un vincolo paesaggistico, e colui che invece fabbrica sul proprio fondo, prima dell'apposizione del regime vincolistico; con l'art. 3 in relazione all'art. 9, comma 2, e 42 della Costituzione e con riferimento agli artt. 116 e 117 della Costituzione, "sotto il profilo della disuguaglianza manifesta fra casi eguali" la sanabilita' delle opere potrebbe in concreto dipendere, nell'ipotesi di vincolo imposto successivamente all'edificazione di esse, dalla sollecitudine con cui le amministrazioni definiscono le istanze di condono; con l'art. 3 della Costituzione, con riferimento agli artt. 9, comma 2, 42, 116, 117 della Costituzione, "sotto l'ulteriore profilo dell'irragionevolezza, dell'incoerenza e della contraddittorieta'": la norma limita l'irretroattivita' dei suoi effetti all'applicazione delle sanzioni pecuniarie discendenti dalla violazione del vincolo, mentre "fa retroagire le sanzioni mortali ... quelle di natura ripristinatoria". Cosi' prospettata, la questione di illegittimita' costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata. Ed invero, tutti e tre i profili di censura suddetti mostrano di ignorare quale e' l'effettiva ratio della norma in esame. Questa, nel subordinare nal parere dell'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo l'esito della domanda di sanatoria edilizia, indubbiamente persegue la finalita' di consentire la valutazione della situazione edilizia - per la quale e' stata proposta domanda di sanatoria - allo scopo di accertare se la costruzione stessa, (a prescindere che sia) precedente o successiva all'imposizione del vincolo, non comprometta in maniera definitiva valori corrispondenti ad interessi pubblici primari - culturali, ambientali o (come nella specie) paesaggistici - tutelati dal regime vincolistico. La norma realizza, all'evidenza, una sorta di difesa avanzata, e quindi piu' incisiva ed efficace, dell'ambiente, in quelle zone di particolare pregio estetico, meritevoli, come tali di essere salvaguardate da possibili interventi edilizi pregiudizievoli, tenuto soprattutto conto della notoria diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio in Sicilia. Valutata in tale ottica, la norma regionale in esame non esorbita dall'ambito della discrezionalita' riservata al legislatore ed e' certamente rispettosa del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. 3.2. - Ritiene piuttosto il collegio che l'art. 5, comma 3, della l.r. 31 maggio 1994, n. 17, pur qualificandosi norma interpretativa, incide profondamente sul dato testuale della norma interpretata, ampliandone l'ambito temporale di operativita', con la conseguenza che, per la sua natura interpretativa, in realta' solo apparente, vincola l'interpretazione del giudice, incompatibilmente con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Ed invero, secondo una costante giurisprudenza costituzionale (cfr. da ultimo, le sent.ze n. 233 del 1988 e n. 155 del 1990 ) va riconosciuto carattere interpretativo soltanto a quelle leggi o a quelle disposizioni che, riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza percio' intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata. La norma suddetta, viceversa, anziche' desumere, enucleare o escludere un qualche significato gia' insito nella disposizione "interpretata", interviene sul testo legislativo, aggiungendo una diversa disposizione. Ed invero, mentre l'art. 23, comma 10, l.r. 10 agosto 1985, n. 37, prevedeva che ... "le concessioni in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il vincolo, posto antecedentemente all'esecuzione delle opere ...", la norma "interpretativa" in esame stabilisce invece che "Il nulla-osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva". Si tratta di una innovazione che incide in modo sostanziale sulla precedente disciplina normativa, poiche' introduce una previsione certamente non desumibile dal testo "interpretato", nel quale si fa espresso riferimento alla preesistenza del vincolo: il nulla-osta agli enti di tutela va richiesto, qualora il vincolo sia stato apposto in epoca antecedente all'esecuzione del fabbricato da sanare. In tal modo, l'originaria norma regionale faceva corretta applicazione di un principio generale del nostro ordinamento, quello cioe' della irretroattivita' (art. 11 preleggi) che, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, della Costituzione), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva una effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini (cfr. sent. Corte costituzione n. 155/90 cit.). Si sarebbe potuto considerare effettivamente interpretativa la norma in questione nel caso in cui si fosse ad esempio limitata a chiarire che nell'espressione "vincolo posto antecedentemente all'esecuzione delle opere", quest'ultima locuzione avrebbe dovuto intendersi come "ultimazione dell'opera abusiva". Essa invece ha attribuito al regime vincolistico una efficacia temporale retroattiva: il nulla-osta agli enti di tutela deve essere richiesto "anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione nell'opera abusiva". Con cio' il legislatore regionale ha mirato a conseguire quella piu' incisiva difesa dell'ambiente, di cui si e' detto sopra, esorbitando pero', in modo palese, dall'ambito di una interpretazione autentica della norma. Alla luce di quanto sopra esposto, l'art. 5, comma 3, l.r. 31 maggio 1994, n. 17, appare in contrasto con l'art. 101 della Costituzione. Sicche', attesa la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, ai fini della decisione del ricorso in epigrafe, deve disporsi la sospensione del presente giudizio, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione medesima, cosi' come e' previsto dall'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.